“Alla scoperta del basso Polesine” Una giornata in viaggio fra natura, storia e leggende del fiume Po e del suo delta”. Testo di Paola Cucchi. Foto di Enrico Baglioni – 14 giugno 2023
LUNGO LA SPONDA DESTRA
COCCANILE – Le Pievi itineranti
La prima pieve, risalente al V/VII secolo, e quindi una delle più antiche della provincia, è affiorata nel 2019 dal letto dell’attuale canale Naviglio in località San Venanzio. Si trattava di un edificio a tre navate con abside poligonale. Sono venute alla luce anche dodici sepolture a inumazione.
La seconda pieve, portata alla luce nel 2020 in un campo di grano, è situata 500 metri più a est e risale al IX/X secolo. Si tratta di un edificio ecclesiastico ad aula unica, frutto di un trasferimento del culto legato probabilmente ad una modificazione del letto del canale.
Nel 2021 gli scavi condotti ancora nell’area adiacente al canale, a ridosso della pieve più antica, hanno fatto affiorare altre sepolture di età più recente delle prime, oltre a resti murari di quella che potrebbe essere una terza pieve.
BERRA
I Sifoni
I primi studi per prelevare acqua a fini irrigui risalgono al 1905, a cura dell’ing. Pietro Pasini (ingegnere capo del Consorzio della Grande Bonificazione Ferrarese). Egli scartò la costruzione di chiaviche nell’argine del fiume ritenendo più conveniente far ricorso ai sifoni, in considerazione del fatto che nel Po le acque sono più alte del territorio da irrigare.
L’impianto di Berra da lui ideato – e inaugurato nel 1929 – è costituito da otto tubi in acciaio del diametro interno di un metro, posti a cavaliere dell’argine destro del Po, che scaricano in una vasca a quota tale da permettere ai sifoni di lavorare anche nei periodi di magra del fiume. A valle della vasca è stato costruito un impianto di sollevamento per poter portare l’acqua alla quota idonea per l’irrigazione. La portata complessiva è di 24 metri cubi/sec.
I Sifoni di Berra (insieme alle Prese di Migliaro) nel 2019, durante il meeting a Bali della Commissione Internazionale per l’irrigazione e il drenaggio, hanno ricevuto il prestigioso riconoscimento World Heritage Irrigations Structures per quella che fu la loro innovazione tecnologica, entrando a far parte del patrimonio mondiale per l’irrigazione e candidabili come sito UNESCO.
Madonna della Galvana – Una Madonna arborea
Da secoli oggetto di profonda devozione da parte della popolazione di Berra e dei paesi limitrofi, anche dell’altra sponda del Po, è un dipinto (cm 60 x cm 75) di autore ignoto e di uno stile ingenuo e popolare, inserito in una ricca cornice lignea dorata, raffigurante la Vergine seduta che tiene sulle ginocchia un paffuto Bambin Gesù che protende le mani verso il piccolo San Giovanni Battista. Sullo sfondo si intravvedono una tenda, una colonna ed uno spezzone di balaustra con alle spalle un paesaggio nebuloso e indefinibile. In primo piano, sulla destra, San Giuseppe nell’atto di salire i due gradini che lo separano dal gruppo. Non esistono notizie documentate sul dipinto. La tradizione popolare vuole che centinaia di anni fa, dopo una rotta del Po (forse quella del 1686) il quadro trasportato dalle acque (essendo un dipinto su carta, era già miracoloso che fosse arrivato intatto) si sia fermato fra i rami di una pianta di sambuco in località Galvana. Trasportato nella chiesa parrocchiale di Villanova Marchesana – di là dal fiume – da cui dipendeva la zona berrese, il quadro “miracolosamente” ritornò sulla pianta di sambuco su cui era stato trovato. La manifesta volontà della Madonna di restare nel luogo dell’approdo portò alla costruzione di una cappelletta attorno, si racconta, alla pianta stessa di sambuco (pare che il tronco fosse visibile sotto l’altare). Essendo la zona difficilmente raggiungibile, soprattutto nel periodo autunno invernale, alla fine degli anni ’50 del secolo scorso venne costruito un piccolo santuario prossimo alla strada provinciale. Non si seppe mai da dove fosse arrivato il dipinto perché nessuno mai, dai luoghi lungo il fiume, ne chiese la restituzione. Le divinità arboree sono presenti in molte culture di tutto il mondo ed in molte religioni, passate e contemporanee. Le culture antiche attribuivano agli alberi un grande significato, al punto da farli diventare dimore delle divinità: si pensi ad esempio alle Driadi della mitologia greca, abitatrici delle querce. Con l’avvento del cristianesimo le ninfe dei boschi lasciarono il posto alle teofanie mariane e fu così che ebbero origine leggende su apparizioni fra le fronde di alberi o arbusti e nacque il culto delle “Madonne Arboree”.
L’eccidio di Ponte Albersano
Con la deviazione del corso del Po in seguito al cosiddetto “taglio di Porto Viro” ad opera della Serenissima (1600/1604) iniziò l’impaludamento di oltre 20000 ettari di terreno bonificati dagli Estensi. La situazione del Basso Ferrarese peggiorò ulteriormente anche a causa di numerose rotte del Po: quella di Guarda del 1872 fu particolarmente disastrosa, ed il Basso Ferrarese rimase allagato per mesi con la perdita di tutti i raccolti. Si formò allora la “Ferrarese Land Reclamation Company Limited” allo scopo di bonificare tutto il territorio. A questo organismo si unirono la Società Italiana dei Lavori Pubblici di Torino, la Banca di Torino e la Banca U. Geisser & Company, che insieme fondarono la Società Italiana per la Bonifica dei Terreni Ferraresi (S.B.T.F.). Nel 1874 iniziarono i lavori di bonifica. Nelle terre bonificate si insediarono numerosissime famiglie provenienti dal Veneto, dalla Romagna e in parte dal Bolognese. Tuttavia le condizioni di vita della popolazione rimasero a lungo molto misere: il 1897 fu una delle peggiori annate con scarsissimi raccolti. La classe operaia e bracciantile, che andava sempre più prendendo coscienza della propria situazione e della propria forza, cominciò ad organizzare quella lotta di classe che vide le zone ferraresi all’avanguardia nella costituzione delle cosiddette Leghe contadine di ispirazione socialista. Nel 1901 venne proclamato uno sciopero contro la pretesa dei proprietari terrieri di non concedere ai lavoratori un aumento salariale nel periodo della mietitura. Per ovviare al blocco dei lavori provocato dallo sciopero vennero arruolati braccianti provenienti dal Piemonte. Il 27 giugno un gruppo di lavoratori guidati dal capolega di Villanova si recò verso i territori della Bonifica per trattare sia con i rappresentanti della S.B.T.F. che con i lavoratori piemontesi. A Ponte Albersano furono bloccati da un contingente di soldati che ricevette l’ordine di sparare sui lavoratori: vi furono tre morti e più di trenta feriti. L’eccidio ebbe notevole risonanza a livello politico nazionale, il che indusse i proprietari a concedere gli aumenti retributivi richiesti.
SERRAVALLE
Villa Giglioli
Nel 1425 Jacopo Pilade Pellicciari di Ferrara, poi detto de’ Giglioli, ebbe da Niccolò III d’Este, in segno di riconoscenza per i servigi resi, la giurisdizione di Serravalle, con undici castelli ed il titolo di Conte. Venne quindi costruita, fra Serravalle ed Ariano vicino all’argine del Po di Goro, la prima dimora a forma di torre. Il fiume Po era arteria di collegamento e vi si svolgevano i principali traffici; i rapporti con la sponda veneta, in particolare con il borgo di Santa Maria in Punta – detta “del traghetto” – erano frequenti ed attorno alla torre si formò un piccolo agglomerato di capanne e tuguri. Il luogo ove era stata eretta la torre era una piccola oasi in mezzo alle paludi alimentate dalle continue rotte del fiume; nel tempo la famiglia provvide alla costruzione di molti fabbricati rurali e al rialzo degli argini fluviali. Nel 1598, con il passaggio del ducato ferrarese alla Chiesa, la famiglia Giglioli lasciò la città e si trasferì nella villa di Serravalle, che fu ampliata e arricchita di arredi e affreschi. La villa fu semidistrutta da un incendio scoppiato la notte del 31 dicembre 2008. Il complesso costituito da ciò che rimane della villa, dai fabbricati di servizio, dal parco e dalla cappella, dovrebbe rientrare a pieno titolo fra le realtà più significative del Basso Ferrarese sia dal punto di vista storico che turistico, e perciò meritevole di essere recuperato e salvaguardato.
LUNGO LA SPONDA SINISTRA DEL PO DI GORO
ARIANO NEL POLESINE
Santa Maria in Punta
Il piccolo borgo di Santa Maria in Punta sorge nel punto in cui il Po si biforca ed ha origine l’estesa isola fluviale di Ariano. Fonti del Duecento già ne attestano la presenza: poche case ed una chiesa in corrispondenza di un traghetto fluviale che aveva dato il nome alla località, “Trageti” o “Tragetus”: esso compare per la prima volta in un documento del 1298 e rimane in uso fino al Settecento. La chiesetta romanica è dedicata a Santa Maria del Traghetto, e custodisce un prezioso organo costruito da Francesco Dacci di Venezia nel 1784; restaurato nel 2001, è tuttora utilizzato anche per concerti. Anche a Santa Maria era venerata una “Madonna arborea”, trasportata in epoca lontana dal fiume e fermatasi fra i rami di un fico. Contesa sia dagli abitanti di Santa Maria che da quelli di Còrbola poiché il fico si trovava sul confine fra i due paesi, venne di prepotenza portata dai Corblìn nella loro chiesa. Ma l’immagine tornò a Santa Maria. E così per molte volte finché, alla fine l’immagine non rimase a Santa Maria.
San Basilio
L’area di San Basilio, piccola frazione in Comune di Ariano nel Polesine, ha restituito nel corso degli ultimi decenni abbondanti materiali relativi ad insediamenti nella zona sin dal VI/V secolo a.C., quando il territorio era frequentato da Etruschi, Greci e Veneti ed era centro di commerci con il Mediterraneo centro-orientale e con l’Etruria. Nel II secolo a.C., in epoca romana, la costruzione della via Popillia, proveniente da Rimini e diretta ad Adria, portò alla rinascita di questa zona che divenne sede di una stazione di posta, la Mansio Hadriani, intorno alla quale si concentrarono fattorie ed abitazioni, tanto da costituire un vero e proprio villaggio. Numerosi importanti reperti provenienti dalle campagne di scavi sono custoditi nel locale Museo. A fianco del Museo sorge la romanica Chiesa di San Basilio, eretta nel IX secolo dai Benedettini di Pomposa, da considerarsi fra i più antichi luoghi di culto cristiano del Polesine. L’edificio è legato ad alcune interessanti curiosità storiche e tradizioni relative sia al sarcofago presente nel sagrato che ad un’antica e misteriosa colonna marmorea. Sembra infatti che la colonna, situata in una nicchia accanto all’abside e più volte citata nei documenti ecclesiastici come “miracolosa”, trasudasse una sostanza oleosa in grado di favorire la produzione di latte nelle puerpere. All’interno del sarcofago, invece, sarebbero custoditi i resti dei Paladini di Francia che costruirono l’oratorio. Nel IX secolo i soldati di Pipino, figlio di Carlo Magno, passarono da San Basilio nel loro tentato assedio di Venezia.
La “Rovra” di San Basilio o Quercia di Dante
Gravemente danneggiata da un fulmine nel 1976, è purtroppo crollata a terra nella notte fra il 24 e 25 giugno 2013 dopo un violento temporale. Si trattava di un imponente esemplare di Quercus robur alto più di 26 metri il cui tronco, per essere abbracciato, richiedeva dieci bambini o sei adulti. Risulta citata in un atto notarile del 1548, ma la sua presenza viene data per certa già all’epoca di Dante. Narra la leggenda che nell’estate del 1321 Dante, di ritorno da un’ambasceria a Venezia per conto di Novello da Polenta signore di Ravenna, si sia smarrito nel groviglio di corsi d’acqua e vegetazione nei pressi di San Basilio e che proprio salendo sull’enorme quercia si sia orientato ritrovando “la diritta via”. Nell’estate del 1321 Dante sarebbe realmente transitato per San Basilio, ospite dell’Hospitium dei Monaci di Pomposa. Morì nella notte fra il 13 e 14 settembre a causa della malaria che lo avrebbe contagiato proprio durante il viaggio.
LUNGO LA SPONDA SINISTRA DEL PO
BELLOMBRA
Sembra che la zona in cui sorge il paese fosse un luogo accogliente e gradevole, ricco di aree boschive da cui deriva il nome di Bella ombra. Per questo motivo intorno al 1421 Niccolò III d’Este fece costruire qui una Delizia. Non vi sono molte notizie relative al palazzo. Si parla di luogo di caccia, di divertimento e di cavalcate in villa di tutta la Corte Estense. Si trattava senz’altro di una bella e sontuosa residenza tanto che nel 1452 l’imperatore Federico III, recandosi a Roma per l’investitura, fece sosta alla Delizia di Bellombra ospite di Borso d’Este. Qualche anno più tardi Borso donò il palazzo a Teofilo Calcagnini. Nel Cinquecento, sotto il dominio della Serenissima, il palazzo scomparve. Nel 1461 Borso donò ai Padri Certosini alcuni beni nel territorio di Bellombra, e nello stesso anno arrivò una comunità di monaci derivanti dalla Certosa di San Cristoforo di Ferrara.
PAPOZZE
Il primo documento certo riguardante Papozze risale al 1255: Tebaldino detto Papozzo, cittadino ferrarese, vende per il prezzo di 1150 libbre di ferrarini ai veneziani Marco e Matteo Quirini tutte le terre e possessioni poste nel luogo chiamato Papocia. All’inizio del XIV secolo gli Estensi cominciarono ad estendere il loro dominio anche sulla villa di Papozze, dominio che durò fino al 1597 quando tutto il Ducato tornò alla Santa Sede.
Il nuovo abitato di Papozze risale agli anni sessanta quando, dopo l’alluvione del 1951, il cuore del paese, situato in golena, venne demolito. Il vecchio centro abitato, denominato “Piazza Cantone”, era racchiuso tra l’argine maestro del fiume ed un argine golenale. Questo era il cuore pulsante del paese con municipio, scuole, teatro, mulino, attività commerciali. Solamente la chiesa parrocchiale, iniziata nel 1845, e la caserma dei carabinieri erano al di là dell’argine maestro.
CRESPINO
Il mito di Fetonte
Fetonte era figlio di Elio, dio del sole e della ninfa Climene. Per dimostrare agli amici di essere veramente figlio di Elio, convinse il padre a lasciargli guidare per un giorno il suo carro infuocato. I cavalli però si imbizzarrirono ed egli ne perse il controllo, tanto che il carro iniziò a correre per l’universo provocando grandi danni sulla terra. Intervenne Zeus lanciando un dardo che uccise Fetonte facendolo precipitare nell’Eridano all’altezza di Crespino. Le Eliadi, sorelle di Fetonte, piansero a lungo disperate la sua morte, finché non furono da Zeus tramutate in pioppi. Crespino è da sempre legato al mito di Fetonte, tanto che esso è riprodotto nello stemma comunale. Lo stemma nel tempo ha subito varie modifiche. Il più antico è quello inciso sui fascicoli delle Leggi di Napoleone conservate nell’archivio comunale. Nel 1868 ci fu un’ulteriore variazione; infine nel 1904 venne rifatto ancora una volta e rimase lo stemma definitivo del Comune.
LA SACCA DI SCARDOVARI
Le sacche, uno dei numerosi ambienti che caratterizzano il Delta del Po, sono golfi marini di acqua poco profonda delimitati dalle ramificazioni del fiume; sono ambienti assai simili alle lagune, ma con una più ampia apertura verso il mare, tali da costituire vere e proprie insenature che risentono direttamente dell’influenza marina. Questi ambienti sono ideali per la vita di moltissime specie animali e per i popolamenti vegetali. La più ampia fra le sacche è senz’altro la “Sacca degli Scardovàri”, con una superficie di circa 3200 ettari. Il suo nome deriva dalla “scàrdova” (o scardola), un pesce molto abbondante nella zona verso la fine del Settecento quando sorsero i primi insediamenti di pescatori. Per la sua particolare idromorfologia la Sacca ben si presta all’acquacoltura che qui si fregia della presenza di due specie autoctone di grande pregio: la Cozza di Scardovàri DOP e l’Ostrica Rosa “Perla del Delta”, allevata con un sistema innovativo che simula, grazie ad una tecnologia implementata con pannelli solari, le maree atlantiche del nord Europa.
Paola Cucchi
Vicepresidente Garden Club Ferrara